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Cast
- Gerard Blain
- Cesar Chauveau
- Dominique Ravix
- Dany Roussel
- Daniel Sarky
Produzione
-
Office de Radiodiffusion Television Francaise (ORTF)
Le pelican (1974)
Regia
Gerard Blain
Trama
Ancora il rapporto padre figlio, in questo caso portato alla disperazione della privazione dello stesso. Paul (lo stesso di Les amis fattosi uomo?) è un uomo che è stato abbandonato dal padre da bambino e con la compagna ha appena avuto a sua volta un figlio. Un figlio a cui vuol dare tutto quello che non gli ha dato suo padre. Per avere i mezzi per mantenerlo (e spinto dalla moglie che vorrebbe una vita migliore con feste e belle auto…) decide di accettare un lavoro illegale che lo porta in carcere negli Stati Uniti. Dopo nove anni di prigione ritorna in Francia dove la moglie ha divorziato da lui ed è riuscita ad avere la vita che voleva sposando un ricco borghese. I due hanno deciso però di far fuori il nostro Paul dalle loro vite e dalla vita del figlio, assistiti dalla legge. Paul: un figlio senza padre e un padre senza figlio. Da questo momento recuperare il figlio e il rapporto con lui diventerà un’ossessione per Paul che comincia a pedinare, spiare e introdursi nella villa dell’ex-moglie e del di lei nuovo marito… fino ad arrivare a “rapire” il figlio per farsi riconoscere come vero padre. Il titolo Le pelican (1974) deriva da una poesia di De Musset che parla di un pellicano che per sfamare i figli, non avendo trovato nulla da dar loro da mangiare, lascia che i piccoli si cibino del suo corpo. E come il pellicano l’unico interesse di Paul è quello di dare affetto al figlio fino alle estreme conseguenze, quell’affetto che i genitori “legali” non gli stanno dando, occupati in feste, uscite serali e vacanze di piacere. Si mettono in evidenza qui i due principali interessi di denuncia da parte di Blain, la paternità deficitaria e la rabbia contro l’opulenza della ricchezza accompagnata dall’aridità dei sentimenti. L’attacco ai borghesi ha un significato decisamente politico in senso lato non in senso stretto. Al riguardo Gerard Blain, ammiratore di Che Guevara, a domanda precisa – non è mai stato attratto dal cinema politico? - risponde: “No, non sono mai stato tentato dal cinema politico. Non perché non abbia conoscenza politiche, ma perché io ho piuttosto una coscienza ideologica (…) Non sarò io a salvare il mondo con dei film! Io sono un utopista. Sono qualcuno piuttosto pessimista riguardo l’umanità, sui rapporti umani in Occidente (…) Sono un militante dell’amore, della famiglia, della generosità verso gli altri.” (*). Ma quanto “politici” sono quei lunghi piani fissi di Paul che con un binocolo, lui trattato come un cane rognoso da allontanare dal proprio figlio, guarda la famigliola “felice” nel lusso, sbeffeggiata con una canzoncina, in colonna sonora, ripetuta all’infinito, vuota e leggera, come vuote ed egoistiche sono le vite dei borghesi che gli hanno rubato l’affetto e l’amore del figlio raccontandogli falsità? Un film a suo modo austero e terribile allo stesso tempo. (voto 6/7). Una borsa di Chanel nei desideri della moglie che sogna ricchezza, un distributore BP, l’hotel Ticino in Svizzera, il Whiskey Black & White, Kodak e la ditta Fumagalli nel product placement del film.
Trama a cura della redazione di
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