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Cast
- Charles Blavette
- Jean Gabin
- Michelle Morgan
- Madeleine Renaud
Produzione
-
Maitrise Artisanale de l'Industrie Cinematographique (MAIC)
Remorques (Tempesta) (1941)
Regia
Jean Gremillon
Trama
Tempesta atmosferica e tempesta dei sentimenti, legami tra navi che si spezzano come quelli tra gli uomini, l’apparizione di una donna che è una furia in mezzo al mare ad erodere il roccioso capitano del rimorchiatore che di mestiere salva ed evita naufragi ma sarà lui stesso a naufragare. Il film più famoso di Grémillon è Tempesta (Remorques, 1941) e come al solito l’ambientazione e il genere, ovvero il contorno, hanno più visibilità del nocciolo del film, ovvero i rapporti umani il cui spazio si riduce ad avvenimenti secchi, senza mai indugiarvi. Lo stile del regista è questo, utilizza la metafora per non scadere nel sentimentalismo ma i suoi film contengono più passione di centinaia di opere melodrammatiche che invece la trappola non la evitano. Due esempi. Apprendiamo che la moglie del protagonista, vissuta per anni all’ombra del marito spesso lontano da casa perché di mestiere fa il capitano di un rimorchiatore per recupero di navi in difficoltà, è gravemente malata e si confessa con una fresca sposa destinata ad un futuro simile al suo. Invece di indugiare avvicinandosi alle due donne la cinepresa si allontana, esce dalla finestra e a noi resta un quadro di dolore sullo sfondo. In seguito, il capitano, uomo tutto di un pezzo e maschilista non poco “ti piace avere la sicurezza del possesso delle tue cose, la Tua nave, il Tuo equipaggio, Tua moglie per far vedere quanto sei uomo” le dice in pratica la moglie ad un certo punto, si lascia conquistare dalla bellezza magnetica della naufraga arrivata a terra, Catherine (“Catherine è un’ondata di schiuma che arriva sul ponte, uno spirito eterno, che viene e se ne va, un folletto fantasma. Quando il capitano Laurent s’innamora di lei, entra in un’altra vita, come se le luci si spegnessero improvvisamente e lo lasciassero nella penombra”) (VII). I due sono in una casa sul mare, finora si sono detti poche parole. La cinepresa è ancora fuori dalla finestra, i due si baciano quasi fosse impossibile non farlo. La cinepresa si sposta e inquadra altro. Tutto è così secco e netto. Poi la parte dell’ambientazione del film. Il regista gira in Finisterre, regione della Bretagna, fine della terra, dove anche Epstein e Dulac amavano andare. Qui meteo e sentimenti sono duri e sferzanti, come il vento continuo, il panorama roccioso, le piogge devastanti, il mare spesso in rivolta. Poi ci sono gli attori, icone vere. Il maschio poi eroso dagli eventi è ancora Jean Gabin che torna a lavorare con il regista che più di altri lo porta verso l’umanizzazione, qui l’urlo “Yvonne!” al capezzale della moglie equivale al pianto in Gueule d’amour. La donna furiosa e ammaliatrice è la magnetica Michele Morgan. Ovvero la coppia corrosiva de Il porto delle nebbie. La moglie insoddisfatta e infelice ancora una volta la Madeleine Renaud di Lo strano signor Vittorio. Nel finale bellissimo quando il capitano Laurent ha perso tutto torna sulla sua nave e ne vediamo il primo piano ancora in mezzo alla tempesta ma non ci mostra più lo stesso uomo: “Non c’è in questa scena che il movimento crescendo di un dolore, il dolore universale, André ha perso tutti i suoi tratti distintivi” (Jean-Christophe Ferrari – VII). Non c’è compassione, empatia, sfruttamento del sentimento del dolore. Un film girato in mezzo alle difficoltà della guerra obbligando il regista ad utilizzare dei modellini per le sue tempeste grandiose, un film alla cui scrittura (tratto da un romanzo di Roger Vercel) hanno partecipato Jacques Prevert e André Cayatte, ma indubbiamente uno dei film più riusciti di Grémillon. Anche quest’opera suscitò sperticate lodi da parte di Vecchiali (V) che definisce Grémillon come “l’unico cineasta francese totalmente degno della sua professione”. E sul film: “Posso vederlo duecento volte, ad ogni proiezione, sono scelto, sorpreso, sconvolto, arricchito (…) Remorques è un film d’amore sull’Amore, profondo, violento, crudo. I sentimenti sono espressi frontalmente con, per sola deviazione, una poesia sarcastica che denuncia la sfortuna sfidandola (…) Mentre il Mare, l’Inferno e Catherine recalamano Gabin, la Morte reclama Madeleine Renaud. La coppia che ci è stata presentata come esemplare si vede trascinare verso queste rappresentazioni: Mare, Morte, Amore. Allitterazione sintomatica che porta in sé le proprie contraddizioni. Mare, sorgente di vita. Morte, faccia nascosta della Vita. Amore che supporta e genera la Vita… (…) Opposizione grandiosa tra il mito Gabin-Morgan, la Sirena e il Marinaio, e il quotidiano, quello che si incasina ma comprende tutto, quella che si annoia e ne muore (Ledoux e Renaud). (…) Immagini, suoni, musiche, arredi, movimenti di macchina, luci specifiche sequenza per sequenza, direzione d’attori al millimetro, con una sintesi perfetta e comunque vibratile di tutti questi elementi della regia, cosa si può domandare di più?”. “Il mare resta un protagonista maggiore del film, come quasi sempre con Grémillon. Più che un luogo drammatico, è l’espressione fisica – anche quando no appare – della continuità materiale del mondo reale, un argomento realista.” (IV). (voto 7,5) Product placement per Campari che svetta come pubblicità in un bar.
Stefano Barbacini
Trama a cura della redazione di
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